 
                                La presenza etrusca nella piana lucchese è documentata fin dall'età del Ferro quando piccoli gruppi di Villanoviani, dediti all'agricoltura ed alla pesca, s'insediarono lungo il corso dell'Auser.
Presso gli scali necessari alla navigazione lungo costa, si svilupparono quindi abitati a vocazione commerciale, dai quali le merci e, più in generale, la cultura etrusca si diffusero anche nel territorio circostante.
Dalla fine del VII sec. a.C., Pisa, ormai importante città etrusca, estese i propri interessi in un vasto territorio comprendente anche la Versilia e la Piana di Lucca. Nelle due aree, tra l'età arcaica e l'età classica, sorsero numerosi insediamenti volti allo sfruttamento capillare delle risorse agricole e naturali del territorio.
Nel corso del V sec. a.C., il popolamento etrusco si estese anche alla Media Valle del Serchio, mentre nella piana lucchese, accanto agli insediamenti lungo il fiume, sorsero abitati d'altura situati in punti strategici dai quali era possibile controllare il territorio e le vie di comunicazione. Eventi alluvionali di ampia portata, verso la fine dello stesso secolo, determinarono il rapido abbandono di tutta la piana.
Tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., le zone montuose delle Apuane e dell'Appennino furono occupate da popolazioni liguri, mentre gli abitati etruschi della Versilia si spostarono, in posizione difesa, dai terrazzi alluvionali ai primi rilievi collinari. Nell'area lucchese, i nuovi villaggi etruschi si disposero questa volta ai margini della piana, probabilmente ancora inabitabile. Tra Etruschi e Liguri si stabilirono inizialmente rapporti commerciali; tuttavia, verso la fine del secolo, l'espansionismo di Roma ruppe il precario equilibrio.
Le razzie dei Liguri giunsero fino a Pisa, da tempo città alleata di Roma, causarono l'intervento dell'esercito romano che si concluse con la disfatta dei Liguri e la fondazione delle colonie di Lucca (180 a.C.) e Luni (177 a.C.).
(testo di Susanna Bianchini – Fabio Fabiani)
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La varietà dei paesaggi e delle risorse naturali ha permesso alle popolazioni locali lo svolgimento di attività diversificate. La produzione agricola, principale fonte di sostentamento, forniva cereali, legumi, come attestano i semi di fava rinvenuti nell'abitato di Bora dei Frati, e probabilmente vino ed olio d'oliva. L'allevamento doveva essere altrettanto diffuso, a giudicare dai rinvenimenti dell'abitato di Montecatino in Valfreddana, dove è ben documentato l'uso alimentare di bovini, necessari anche al lavoro agricolo, di capre e pecore, che fornivano anche latte e lana, di suini e perfino, sporadicamente, del cane. La produzione agricola e l'allevamento erano inoltre integrate, soprattutto nelle ampie aree palustri della costa e dell'interno, dalla caccia e dalla pesca, attività quest'ultima documentata da frequenti rinvenimenti di pesi da rete.
Le Alpi Apuane offrivano infine le importanti risorse dei giacimenti marmiferi e minerari. Il marmo in particolare alimentò, fin dall'età arcaica, le produzioni artigianali della vicina Pisa. Un ruolo importante nell'economia locale era svolto anche dal commercio, soprattutto nei villaggi prossimi alla costa o alle vie fluviali come l'Auser. I numerosi rinvenimenti di contenitori da trasporto (anfore) e di vasellame d'importazione, documentano l'esistenza di scambi anche di lunga distanza.
Tra le attività domestiche più comuni, vi furono certamente quelle tipicamente femminili della filatura e tessitura, documentate da numerosi ritrovamenti di rocchetti, fuseruole e pesi da telaio in terracotta; tra le fibre tessili impiegate, oltre alla lana, è attestata l'utilizzazione del lino (Bora dei Frati). Le testimonianze relative alla sfera religiosa sono al momento limitate all'individuazione dei luoghi di culto. A Pisa, in ambito urbano, dovevano esistere veri e propri edifici sacri, mentre nel resto del territorio erano certamente diffusi, oltre ai culti domestici, piccoli santuari dedicati alle divinità campestri; al culto delle acque è invece probabilmente connessa l'intensa frequentazione dell'antro di Castelvenere.
Un modesto numero di iscrizioni su vasi, peraltro distribuite nel territorio, rappresentano infine le sole testimonianze della scrittura e del livello di alfabetizzazione della società locale (Ponte a Moriano).
In prossimità degli abitati erano predisposte aree destinate alla sepoltura: le necropoli. E' proprio la loro individuazione che spesso suggerisce l'esistenza di insediamenti non altrimenti noti, contribuendo a definire il quadro del popolamento.
Il costume funerario locale, rimasto sostanzialmente inalterato per tutto il periodo etrusco, è l'incinerazione: i resti combusti del defunto venivano raccolti in un vaso, spesso coperto da una ciotola capovolta e deposto direttamente nella nuda terra o, insieme ad eventuali oggetti di corredo, entro una struttura di protezione. Questa, in ambito locale, era costituita da un grande vaso, tagliato a metà e capovolto (Via Squaglia; Villa Mansi), o, più raramente, da una cassetta di lastre di pietra (Via del Poggione). Nella piana lucchese presso Porcari, caso al momento isolato, una tomba di età arcaica.
Il corredo, presente solo in alcuni casi, poteva comprendere oggetti di ornamento personale, come le ricche oreficerie della tomba di Rio Rallettadi Capannori, vasellame per il banchetto ed armi, come nella tomba versiliese di via del Poggione, di età arcaica, e nella tomba ellenistica di Ponte a Moriano. All'interno delle necropoli, le sepolture, singole o in gruppi, erano frequentemente segnalate da un cippo funerario realizzato in marmo apuano; la forma tipica e maggiormente diffusa, con fusto tronco-conico e bulbo alla base per l'infissione nel terreno, è denominata "cippo a clava" (Via del Poggione).
La tradizione edilizia locale prevede, per tutto il periodo etrusco, l'impiego prevalente di materiali deperibili: legno, fibre vegetali e argilla. Le proposte di ricostruzione dei diversi tipi di abitazione si basano pertanto sui pochi resti conservati, quali ad esempio le buche per l'alloggiamento di pali lignei.
Nel periodo più antico, le abitazioni della piana lucchese (Chiarone), isolate o all'interno di modesti insediamenti a carattere famigliare, sono per lungo tempo costituite da semplici capanne con struttura portante in legno e pareti realizzate con elementi vegetali rivestiti da intonaco d'argilla.
Accanto al tipo tradizionale, si diffondono costruzioni realizzate impostando le pareti su uno zoccolo di base in ciottoli fluviali legati con argilla (Tempagnano; Acquarella); l'elevato poteva essere costituito ancora da un'ossatura lignea, elementi vegetali più leggeri ed intonaco, oppure solo da argilla cruda. Nelle coperture, sempre in materiale deperibile, si iniziano ad utilizzare le tegole per rafforzare i punti di maggiore sollecitazione.
In età ellenistica, se la tecnica costruttiva rimane sostanzialmente invariata, la frequente localizzazione degli abitati su rilievi collinari impone la necessità di regolarizzare la roccia affiorante con opportuni tagli e riempimenti (Bora dei Frati; Romito di Pozzuolo); in ambiente paludoso, come nell'insediamento di Ponte Gini di Orentano (Pisa), troviamo ancora importanti opere di bonifica realizzate con palificazioni lignee.
Lo svolgimento delle attività quotidiane era assicurato da strutture domestiche, quali tettoie o piccoli porticati, focolari (Bora dei Frati) e grandi contenitori, talvolta interrati, per la conservazione degli alimenti; pozzi (S. Rocchino), strade o aree pubbliche (Tempagnano) costituivano inoltre servizi essenziali di uso comunitario. Ritrovamenti sporadici attestano infine l'esistenza, all'interno delle abitazioni, di piccoli luoghi di culto domestici ("larari"; Chiarone).





